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atto terzo.—sc. v,vi. 121

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SCENA V.

ESTER e JEFTE.

Ester.Io d’empio amor tacciata?
Jefte.                                                  Invan frenarlo
Volli: te nella tenda ei non rinvenne,
E forsennato qui proruppe.
Ester.                                                  Indegno!
Da te vien la calunnia!
Jefte.                                             Oh ciel! Ma l’orme
Del padre tuo ben troverà: scoperta
Tua innocenza ecco tosto.
Ester.                                             E duolti, il veggio:
E perciò di fermarlo era tua mente;
Nutrir l’empio sospetto, agl’ingannati
Occhi suoi farmi vil; no, nol potrai!
D’Eleazar raggiunte abbia pur l’orme;
Che temo alfin? D’inerme esule vecchio
Trucidator puole Azaria mai farsi?
Il basso cor non ha d’un Jefte. Oltraggio
Mi fea: ma generosa alta vergogna
Nell’offensor sottentrerà. — Già torna....
Jefte.E nell’ira ritorna.


SCENA VI.

AZARIA, e detti; indi Popolo.

Azaria.                                   Ove s’appiatta?
Ove n’andò? da niuna parte il vidi.
Qui intorno forse ti nascondi? — Iniquo
Adultero, esci! Farmiti rivale
Ardivi, e, oh doppia infamia! eri un codardo!
Donna, tai scegli i tuoi campioni? E speri
Che al furor mio la sua viltà il sottragga?
Lo speri invan! — Ma intrepida le ciglia
Ergi all’offeso signor tuo? Tant’oltre

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