Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto quarto.—sc. i. | 131 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:136|3|0]]
E lasciar dubbia la tua colpa almeno:
Lasciar che alcuni dir potesser: «Forse
Del feroce Azaria vittima cadde
L’innocente Ester.» Dolce erami, in parte,
Far esecrata la mia fama al mondo,
Onde in parte la tua redenta fosse. —
Vibrare il colpo, no, non posso: il ferro
Donar ti posso: arbitra far te stessa
Di sottrarti a nefandi, obbrobrïosi
Tormenti, di sfuggir l’aperta taccia
Di moglie infame!
Ester. E qual tormento è pari
A si spietati detti?
Azaria. Io perdonarti
Innanzi al mondo, nol potrei: qui, scevro
Di testimon che mia fralezza irrida,
Qui, innanzi al solo Iddio, potrò morendo
Perdonarti: il potrò. Mortal superbo
Son con ogn’uom: con te il mio orgoglio è nulla.
Il dominar più non mi cal: l’amarti
Era mia gioia! nol volesti: gioia
Una mi resta, il morir teco. Scegli:
O qui con pronta, a entrambi onesta morte,
O (se a piè dell’irate are tu spiri)
Là vedermi trafitto.
Ester. Ogni tuo accento
Esprime sì crudel, ferma credenza
Che spregevole io sia, che omai non oso
Sperar di trarti più d’inganno. Ogn’altro
Ch’Azaria disdegnosa a tanti insulti
Mi troverebbe, aspettatrice muta
Del velen che il pontefice m’appresta:
Ma tal tu sei che, da’ tuoi piè calcata
Indegnamente, anco onorar ti debbo
E amar! — Tu parli di morire! a vile
Abbimi pur, compier da Jefte lascia
Questa orribil vendetta, e vita e fama
Rapirmi! Ester vuoi rea? ch’io il sia! Ma vinto