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atto quarto.—sc. iii. 137

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Insidïosi or nuovi insulti avvolgi,
O de’ rimorsi udresti il grido?
Jefte.                                                  Figlia,
Con impassibil, fredda alma, dar preda
Tua bellezza divina a morte, io che ardo
D’amor per te, credi che il possa io mai?
Il mio desir è il viver tuo: nè estinta
Da me sarai, se tu non mi vi astringi.
Fa’ che non tema le tue accuse, e tosto
Eleazar si troverà, e disgombri
Fien contro te i sospetti, ed io primiero
Biasmerò innanzi ad Azaria ed al volgo
Zel pei santi costumi in me soverchio.
Ma d’uopo è ch’Ester m’assecondi. Il padre
Riscatterai, lo sposo che ti è caro
Vedrai felice: entrambi, sì, se il brami,
Risparmiar vo’.
Ester.                              Che a me prometter vogli,
Forse ben non intendo: e intender troppo
Io già pavento. E col disdir le accuse
Ch’io pronunciai, col dimostrarti ossequio,
Otterrei vita, libertà, consorte,
Padre?
Jefte.          Ma chi mallevador sicuro
Del tuo tacer?....
Ester.                                   Non proseguir!
Jefte.                                                  Tradirmi
Potresti ognor, se irrefragabil pegno
D’amistà illimitata io non m’avessi.
Ester.Orribile è la mia sciagura! ai cari
Parenti forse io cagionar la morte!
Perder d’un uom che adoro e amore e stima!
Esecrata morir! Tutto si perda:
Uccidimi una volta, empio! gli oltraggi
Tuoi più orribili son d’ogni sciagura.
Jefte.Al tuo rifletter tempo ultimo diedi:
Or passa: bada! trema!:
Ester.                                             Io più non tremo.

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