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160 iginia d'asti

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Tu — e negli anni canuti, allorchè nulla,
Tranne l’infamia, uom de’ temer — tu schiavo
Del più indegno timor! Giano! e il rimorso
Che ti pungea non era, ahi, perchè muta
Fu in te pietà, ma perchè fatto sgherro
Non t’eri al derelitto, e de’ possenti
Compro in tal guisa non t’avevi il plauso!
Giano.Uom che d’aspre battaglie, ove i più forti
Suoi guerrieri cadean, sempre tornossi
Colla vittoria in pugno, uom tal non teme,
O Arnoldo, aver mai di codardo taccia.
Ma qual prode sul suo capo onorato
Il coltel del carnefice sospeso
Vedrà senza ritrarsi? Ivi coraggio
Non è il dispregio della morte, è insania. —
Perciò consiglio io ti chiedea. Son molti
I delatori, e il mio breve accostarmi
Al giovin guelfo esser può noto.... Io certo
D’esser consol teneami.... e paventato
Di niuna accusa allora avria: ma Evrardo
Quanto m’abborra, il sai; chi mi difende
Or dal feroce, se di stato appormi
Ombra può di delitto?
Arnoldo.                                        Io da gran tempo
Ti leggo in cor — nè, benchè astuto, il pensi.
Giano.Che?
Arnoldo.          Parlar deggio senza vel? — Te rode,
Non men che invidia, ambizïon: tu oscure
Ambagi e mezze confidenze adopri
Con ogni uom che ad Evrardo esser nemico
Presumi occulto: partigiani cerchi:
E a me — cui mai non fosti amico — or fingi
D’amicizia desio, sol perchè avverso
Al fratel mio ti parvi. Ebben! m’ascolta:
Avverso a lui, ma più a certe alme il sono
Superbe al par di lui — men grandi assai.

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