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atto secondo. — sc. ii. | 169 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:174|3|0]]
Onde uccidersi poscia, e uccider sempre,
Onde aver morti a vendicar. Ma intanto
Alla virtù s’intrecciano delitti
Più enormi ognor: non più vergogna, è gloria
Il farsi d’un’insegna oggi campione,
Diman d’un’altra; — gloria, alla donzella,
Cui si giura d’amar, cui si vuol salva
Dalla ruina, il guerreggiarle il padre,
Il cingerlo d’insidie e di perigli,
Ove, men che d’estinguerlo, si ostenta
Nobil desio di calpestarlo, e il braccio
Tendergli poscia, onde vieppiù avvilirlo!
Giulio.Me così trasfiguri? E amante....
Iginia. Figlia
Del console son io.
Giulio. Sì reo mi tieni?
Or ben, le lance del tuo padre invoca:
Fra loro a pormi io venni.
Iginia. Ah crudel! taci:
Lasciami: il ciel solo mi resta. Ah, Giulio,
Se è ver che m’ami, il reo nembo allontana;
Salva la tua città da nuova strage!
Molto può il nome tuo, molto può eroe
Cui virtù, e amor con egual fiamma accende.
Grande agli sguardi miei fora colui,
Di tutto l’amor mio colui sol degno,
Che a non tentata ancor gloria aspirasse....
Giulio.Qual?
Iginia. Non di fere, inutili vendette;
Non di brutal desio d’empi trionfi;
Ma di terger le lagrime all’afflitta
Patria; di richiamar tutti a un’insegna
I discordi fratelli, ambe lasciando
Le sanguigne di guelfo o ghibellino
Maledette bandiere. — Alti mortali
Alcuna volta apparvero, onde il cenno
Era sovra le turbe onnipossente:
Oh l’età mia d’un simile mortale