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atto secondo. — sc. iv, v, vi. 233

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Non ardia....
Il Conte.                         Chi?
Gabriella.                                   Signor.... qui mendicando
Un altro mosse.... Vedova io non sono.
Vive Ariberto!
Il Conte.                              Vive!
Gabriella.                                        Eccolo.


SCENA V.

ARIBERTO COL FIGLIO E DETTI.

Ariberto.                                                            O padre!
Ribenedici il figlio tuo!
Il Conte.                                             Qual voce?
Chi stringe mie ginocchia? Esso! mio figlio!
Il traviato! il misero! Oh, v’attesto,
Del ciel potenze tutte: ho perdonato!
Ho perdonato al figlio mio! — Qui, vieni,
Qui fra le braccia di tuo padre, e teco
La moglie, il pargol tuo. Vi benedico.
Un sogno fu mio lungo sdegno: un sogno
L’imprecar mio. Quest’ora è la felice
Ora che insiem ci ridestiamo; insieme
Per non più separarci.
Ariberto.                                             Oh amato padre!
E oltraggiarti io potea?
Il Conte.                                             Sei tu Gismonda?
Vieni. Ariberto vive: eccolo, e questa
È Gabriella.


SCENA VI.

GISMONDA E DETTI. INDI PARECCHI SERVI.


Gismonda.                         Oh vista! Egli.... è il mentito
Scudier....
Il Conte.                    Deh, generosa agl’infelici
Apri tu pur l’anima tua: un fratello
Racquisti, una sorella.

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