< Pagina:Tragedie (Pellico).djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

235

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:240|3|0]]

ATTO TERZO.


Nel castello.


SCENA I.

GISMONDA.

Non riede ancor. Da lui vendetta spero,
Alta vendetta! E se imitasse il padre....
Se indebolito da pietà obliasse
Anch’ei le ingiurie ricevute, e il proprio
Onore e i detti del monarca.... Ah, tutti
Deboli son fuor ch’io — Lassa! che dico?
Fortezza vera é questa? od è terrore
Non confessato? sentimento occulto
Di palpiti codardi e non mai vinti?
Volontà vana d’aborrire? e invece
D’aborrimento.... — Oh sventurata! oh vile!
Io l’amo ancora: e se colei non fosse
La cui vista m’uccide, ad Ariberto,
Riveggendolo, forse io perdonava.
Ma.... Gabriella al fianco suo è felice!
Felice! ed io?.... Nè i lunghi patimenti
In lei distrutta hanno beltà! Il fellone
Me attonito mirava: in faccia assai
Forse cangiata mi trovò. Men bella
Io di colei? — Da quel di pria diverso
Molto ei non é. Men baldanzosi ha gli occhi....
Ma non meno terribili! portanti
Nell’altrui core un tremito, un delirio....
Oh Ariberto! Oh me misera! Cangiato
Perchè si poco a me ritorna? Odiarlo
Non posso dunque? Il debbo; il vo’

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.