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278 | leoniero da dertona. |
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Sta, che partendo, or son molt’anni, un figlio
Benedicea. Abbracciava il giovinetto
Queste ginocchia, lagrimando, e il giuro
Ripetea ch’io dettavagli. Se vive
Quel figlio mio, s’avanzi, e mi ripeta
Qual fu quel giuro.
Enzo. Sì m’accogli?
Leoniero. Intendi?
Quel giuro io ti domando.
Enzo. Io....
Leoniero. Tu,— se quello
Sei che allor benedissi, — a me giuravi....
Enzo.D’amar la patria, e l’amo.
Leoniero. E la calpesti?
Enzo.Che dici?
Leoniero. Di difenderla giuravi
Contro a’ nemici.
Enzo. Sì, e nemici sono
Quelli ond’io la difendo.
Leoniero. «Io giuro, o padre
(Queste fur d’Enzo le parole), io giuro
Di camminar sulle vestigia sante
Degli avi miei, che per gli altar, le leggi,
La patria gloria, prodigare il sangue!
Com’essi allo stranier giogo la fronte
Non lascerò che mai Dertona inchini!
Com’essi, se onorata un dì mia destra
Verrà del brando signoril, nel sangue
Nol tingerò degl’innocenti mai!
E vòlto l’anno, io deporrò quel brando,
Nè tollerato per me fia, che ad onta
Delle leggi, oltre l’anno altri lo jmpugni!»
Enzo.Indugia, o padre, a condannarmi. I vili
Che mi fan guerra e circuíanti, il loro
Veleno in te soffiàr; ma ben coll’alto
Senno tu in breve scorgerai qual bassa
Di calunnia opra sia, vestir d’infame
Manto i servigi che più eccelsi, e l’orme