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290 | leoniero da dertona. |
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Eloisa. Egli dal sen respinse
Il figlio suo: del popol le ragioni
Sostener volle. Ma che pro? Vigliacca
E divisa è la plebe; e or più divisa,
Dacchè ad Auberto pe’ rancori antichi
Legarsi Leonier nega, e civile
Stendardo alza novello.
Arrigo. Oh cieche menti!
Ma deh narrami: come?...
Eloisa. Ancora al sangue
Niuna parte venía. Tituba e freme
Leonier che già scorto ha del presente
Popolo la viltà. Vane battaglie
Divoreranno alla città i suoi prodi!
Orfana io rimarrò! — Ma se la ròcca,
Esca fatale a inutili sommosse,
Se la ròcca s’arrenda, allor tu, Arrigo.
Ed il padre e ogni buon, ritrar potrete
Al valor prisco la città; allor forse
Concilïati Auberto e Leoniero,
Per nostr’opra, verranno, e lor concordia
Vincol sarà che tutte alme congiunga.
Deh, que’ giorni felici or dal futuro
Non cancellar. Delitto fòra, ah! dubbio
Non è, tua morte; il patrio ben costando,
Non più virtù, ma parricidio fòra.
Arrigo.Oh illusïoni, ond’è il tuo cor fecondo!
Come il ver ti sfigurano! Io la benda
Dalle ciglia ti strappo; eccoti il vero.
Se per vil tema un tradimento al padre
Io dimandar potessi, e compierlo egli,
Del castel disponendo, ah! di tesoro
Non mio dispongo. E qual tesor! lo ignori?
Tal che perduto, a’ barbari, dall’acque
Di Bormida e di Scrivia insino al varco
Che Italia serra, allegro campo in breve
Schiuder potrebbe di rapine e morte.—
È falso, o donna, che a virtù ritrarre