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294 | leoniero da dertona. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:299|3|0]]
Oratore. Al mio venir, da questi
Cavalieri narrata a me d’Arrigo
Fu la sciagura.
Auberto. Alla tua patria esposto
Hai, come della macchia ond’è lordo Enzo
Puri ha Dertona molti prodi?
Oratore. Leve
Placar l’universale ira non fummi
Del popol mio per le scoverte trame
D’Enzo con Barbarossa e dell’intero
Di Dertona senato. Di Dertona,
Che dianzi in polve, della polve uscía
Pel milanese braccio. A punir tanta
Ingratitudin, memorando esempio
Il popolo chiedea: venir chiedea,
La città sconoscente entro la polve
A ricorcar di novo. Ma più miti
Tosto gli animi feansi, il generoso
Oprar di voi, leali spirti, udendo;
E a voi che soli Dertonesi estima,
A voi mi manda il popol mio, l’antica
Sua fratellanza a confermar.
Auberto. Men grave
D’ogni danno, tel giuro, il timor m’era,
Che di pochi il delitto alle lombarde
Repubbliche fraterne in abbominio
Posto, e a’ nepoti, il nome nostro avesse.
Dimmi: or sovrasta al figlio mio la morte
Se la ròcca non s’apra. Arbitrio pieno
In me riposto ha la città. Se....
Oratore. Auberto!
Auberto.Che!
Oratore. Dolce a me sarebbe altri ad un padre
Accenti dar, — ma cedere il castello
Più in voi non sta.
Auberto. Chi ’l vieta a noi?
Oratore. L’onore.
Auberto.Oh figlio mio!