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atto terzo.—sc. i. 295

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Oratore.                              Compiuto è il tradimento
Del consol vostro: allo stranier si vende;
Certezza n’ebber gli alleati.
Auberto.                                                  Oh Arrigo!
Ahi, prepotente è di natura il grido!
Perdonate, o guerrieri. Alla rovina
Della patria darei fiumi di pianto:
Oh! che al figlio una lagrima almen doni!
Oratore.Quella lagrima sacra è quella, o Auberto,
Che ovunque in Lombardia sorge stendardo
Benedetto da Roma, al rïacquisto
De’ dritti nostri, ognuno omai, chi a figlio
Chi a padre, dona; ma una man l’asciuga,
E rota l’altra più assetato il brando:
E così sol trïonfar puossi. — Io il giorno
Che in Milan primo il padre mio l’ardita
Alzò voce di guerra, e il popol tutto,
In loco di tributi, al messaggero
Del nemico d’Italia e della Chiesa
Mostrò di ventimila aste la luce,
Io quel giorno ti vidi. Altri oratori
Degli alleati impallidian: tu, in mezzo
Alla piazza ti festi, e «Milan sola
Sostenitrice non sarà del dritto!»
Sclamasti. — E il padre mio dal consolare
Seggio scendendo t’abbracciava, e «guerra!»
Gridaste entrambo. E allor di guerra il grido
Da’ quattro lati di Milano alzossi.
Tal fu quel dì la città mia; e Dertona
L’imitò prima. E sole, in mezzo a cento
Dubbie o nemiche itale genti, l’ira
Sfidàr d’un re, che sir si vanta al mondo.
Tanta virtù non tornò vana: a gara
Di mezza Lombardia trarsi le insegne
Appo l’insegna sua vide Milano.
Cadde Dertona, ma risorse. Cadde
La città madre: — il peregrin cercava
Il loco ove fanciullo avea onorato

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