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330 erodiade.

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Giovanni.Sposa a Filippo, fratel tuo, costei
Non è? L’arabo rege, il prode Areta,
Non desisiteva da’ trionfi, e schietta
Amistà teco non serrava, e tua
non fe’ la figlia sua? Mentre infelice
È la innocente Sefora, agitata
Erodiade non fia dalle perenni
Di coscïenza ultrici grida?
Erode.                                             I falli
Aggrava spesso o minuisce il vario
Tenor de’ casi. Il padre mio ne’ giorni
Estremi suoi, per raffermar la pace,
Sposo mi volle a Sefora: obbedii
Riluttando e gemendo. Al cor diletta
M’era stata Erodiade insin dagli anni
Dolci d’infanzia. La sposò Filippo!
Aver rispetto a tai destini, ardente
Era mia brama, e in Sefora sperava
Trovare un cor degno del mio. Ben puro
Ed alto era il cor suo, ma disdegnoso
Talora e audace; e odio covar maligno
Contra Erodiade io la vedea. Mi spiacque;
Nè però l’oltraggiai. Maneggi poscia
Di lei scoprii coll’arabo suo padre:
Di rigettarla fui tentato, eppure
Finsi accettar le sue discolpe, e tacqui;
Quand’ecco l’empio fratel mio, vilmente
Sua magnanima sposa ingiurïando,
A fuggir la costringe. Io dal suo tetto
In securtà la posi. Ove dovea
Ritrovar la infelice? Ed aver taccia
Poss’io di rapitor, se la difesi
Dal vilipendio? S’appo me l’accolsi?
Sefora disumana arse di rabbia,
Insultò alla raminga. Io questa amava;
Più allor l’amai. M’abbandonò furente
L’araba, ed a’ paterni padiglioni
Reduce nel deserto, orrenda guerra

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