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atto secondo.— sc. i. 339

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Che ognun m’imprecherà, tu sola sempre
Compiangerai le mie sciagure, e sola
Alla mia figlia attesterai che, in mezzo
A’miei delitti, iniqua io si non era
Qual mi pingean.
Anna.                              Ma tai fur que’ delitti,
E il non pentirten.... ch’io, colei che tanto
Ti rïamai.... che l’amistà disdirti
Non poteva nè posso.... astretta sono,
Astretta....
Erodiade.                    Che?— ad abbandonarmi?
Anna.                                                            Il sono.
Erodiade.Anna! anche tu! M’aborre anche l’amica!
Anna.Non t’aborro, ma forza è che ti fugga.
Lo sposo mio, discepol di Giovanni,
Sino ad or tollerò ch’io a te servissi.
Egli sperava che tonata un giorno
Del suo maestro alle tue orecchie fora
La possente parola, e che risorta
Virtude fosse in te quel dì. Tonata
D’Erodiade all’orecchio è tal parola,
Ed Erodiade la spregiò. Non lice
Ch’io più teco rimanga.— Impallidisci?
T’adiri? Pregne di compresso pianto
Hai le pupille.— Oh mia regina! oh amica!
Non condannarmi. Sappi ch’io allo sposo
Disobbedir non posso. Ei di Giovanni
Non è solo il discepolo: ei veduto
Ha sulla terra l’Aspettato, il Divo,
E di lui cose mi narrò sì sante,
Che crederle m’è forza, e in tutte l’opre
Mostrar ch’io credo. Ed opra oggi su tutte
Dolorosa m’è imposta.... abbandonarti!
Erodiade.Anna! anche tu!— Va’, perfida: imparato
A rattener non ho gl’ingrati ancora.
Anna.Ah! non è ingratitudine; è spavento!
Alti delitti ai fulmini di Dio
Segno te fanno, o sciagurata, e teco

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