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Quelli che spiran l’aer che spiri. Io madre
Sono, e salvar l’amata prole anelo
Dalla ruina che minaccia. — Oh! madre
Fossi tu così tenera a tua figlia!
Pietà di lei ti prenderia; per lei
Piacare il cielo agogneresti. Ah, trema,
Che Dio vibrando i colpi suoi, li vibri
Anco sovr’essa, e tu sul suo ferètro
Urlar non debba: «Io sono, io, che l’uccisi!»
Erodiade.  Barbara! Oh atroce augurio! oh perturbanti
Detti! oh pensier che appunto e notte e giorno
Crudelmente m’assal! La figlia mia! —
Anna, arresta; non fia. Tu la diletta,
L’ultima amica d’Erodiade fosti.
Mi compiangevi, ed all’ammenda ancora,
Quando tutti odïavanmi, tu ancora
Mi spronavi, o fingevi, ed era pia
Finzïon di sorella. Ed io fingeva
Un possibil futuro, in che la pace
Quasi dell’innocenza in me tornasse;
Un possibil futur di si giust’opre,
Che da’ mortali appena i miei dellitti
Ricordati venissero da Dio
E da me stessa. Ah dunque egli era un sogno!
Anna.         Oh te infelice! egli era un sogno. Il santo
Precursor del Messia te a penitenza
Trar non poté: chi fia che più ti vinca?
Io di questo Messia vo’ cercar l’orme,
Vo’ gettarmi a’ suoi piedi, e supplicarlo
Ch’egli a te si palesi e vïolenza
Faccia al duro tuo core, e ancor ti salvi.
Erodiade.  Anna, ascolta. E che sai, se non di quelli
Alterissimi spiriti io forse sia
Che, quanto più garriti e concitati
A virtù, più disdegnano seguirla;
E allorché poscia ipocrita superbia
Tragge ogn’uomo a lasciarli, e a dir: «Felice
Me che a spirti si rei non assomiglio!»


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