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atto secondo.— sc. i. 341

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Allor, per sè medesmi, e senza aita
D’alcun mortal, per intima possanza
Di magnanimo orgoglio, alteramente
S’alzan dal fango, e salgono, più ratti
Forse degli altri, di virtù il cammino,
Ed il piè non inciampa? Io quest’orgoglio
Talora in me parmi sentir. — Và, ingrata!
Non importa: abbandonami. Bisogno
D’amicizia non ho. Se vorrò, sola
Saprò avviarmi; e se vorrò, il mio piede
Salirà fermo. E che mi cal del trono?
Che mi cal degli onori? Il cor mi basta
Di scostarmi da loro.— Ah! di scostarmi
Da Erode, no, bastato mai non fora,
Se, — nè questa paura è in me recente,—
Se per la figlia mia questi presagi....—
Che dico? Oh me affannata! Oh amica! oh suora!
Deh, non lasciarmi ancor! Meco medesma
Sono in conflitto orrendo. All’ardir mio
Non prestar fede: ardire ostento, e tremo;
E quanto debil più mi veggo e prona
A cedere, a fuggir di questa reggia,
Tanto più forza e pertinacia ostento.
Anna.Misera!
Erodiade.               Il mio secreto or t’ ho svelato:
Debile sono, disperata io sono;
Affrontar l’ira più di Dio non posso;
Ei m’empie di terrori. E sappi ch’io,
Dopo che visto ebbi il profeta e udite
Le sue parole d’ira, il passo volsi
Alle mie stanze, e addormentata il capo
Sull’origlier la figlia mia posava.
Guardai quel caro volto; e impallidito
Quasi da morte mi parea. Si desta,
Fra mie braccia si getta, e dice: «Oh madre,
«Sognai che un ferro tu a svenarmi alzavi!»
Così mi dissei ed io stringeala al seno
Raccapricciando. Oh ciel! perchè tai sogni?

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