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atto terzo.— sc. III, IV. 351

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SCENA III.


Una Guardia e detti.

Guardia.                                        Un messaggero
Giunge dalla nemica oste.
Erode.                                             S’avanzi.

SCENA IV.

Il Messo arabo e detti.

Messo.Vera è dunque la fama? Accanto a Erode
La figlia del mio re?— Sefora, un dardo
Vibrasti orrendo di tuo padre al core!
Quando più al campo ei non ti vide, e intese
Gli esploratori asseverar che i passi
Qui tratti avevi, il miserando vecchio
Urlò di rabbia e pianse, e a maledirti
Più volte aperse il labbro, e non potea
La parola compir.
Sefora.                                   Benedirammi
Il buon genitor mio, quando calmato
Fia il suo corruccio: ei scernerà che a sposa
Era debito accorrere allo sposo
E divider sua sorte.
Messo.Io del mio sire
Gli accenti porto:— «O re di Galilea,
Tu di moglie sì pia degno non sei:
Rendila: o sappi che in Arabia tante
Son le tribù, che collegate il brando
Alzeran di lor suora al rïacquisto,
Che cinger pon le tue città con ampia
Ferrea catena, e strascinarle al mare.»
Erode.Gli accenti miei tu di rincontro or porta:
— «Superbo re dell’arabo deserto,
Non a te solo fino ad or fur viste
Arridere le pugne. E ove infinite

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