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atto terzo.— sc. V. 355

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Ma dell’inferma anima sua delirio
Son le accennate trame. I popolari
Gridi concordi alzò concorde l’odio,
Non secreta congiura. Ed a tal odio
Segno Erodiade è sola; amato è il rege.
Lontana lei, s’acqueteran le turbe,
Senz’uopo di macello.
Erodiade.                                        A che i macelli.
Paventi tu, che, d’Israel non figlia,
Nutrita a maledir lo tribù sante,
Su questo seggio ascesa appena, i brandi
A vendicar l’orgoglio tuo chiamavi
Del genitor? L’orgoglio tuo crucciato
Perchè non sola innanzi al re splendea
Tua vantata bellezza! e perchè Erode,
Giusta i villani tuoi consigli, ospizio
Nei dì del mio dolor non mi negava!
Al padre tuo non arridean dapprima
Le battaglie, e captiva e inonorata
Giacevi in queste mura. Oh! allor me stolta
Che, a pietà mossa ed a dispregio, in vita
Lasciar ti volli! Al beneficio ingrata,
Tu la mia insidïavi; e, sallo Iddio,
Se la mia sola! Sallo Iddio, se i ferri
Aïzzando a perfidia, altra cervice
Non additavi!
Sefora.                         Oh di calunnie esperta
E di bestemmie e di speranze infami!
Ch’io le rintuzzi non sei degna. A spregio
Ed a pietà non fosti mossa mai
Se in vita mi lasciavi. A me più noto
Che non a te d’Erode è il cor; d’Erode,
Che, pur me sospettando eccitatrice
Delle paterne guerre, ancor m’amava,
Nè dar miei giorni in tua balía mai volle.
Che se, nel breve tuo trionfo, i brandi
Non giungean, da te spinti, al seno mio
Erode li rattenne. Indi te stessa

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