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atto quarto.— sc. iv, v. 359

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Gli stranieri trionfano, e le destre
De’ cittadini non concorron tutte
Allo scampo del trono! Il tradimento
Anzi più ferve, e più s’arroga audacia!
Amato pur dal popolo era un giorno!
Onde i cuor si mutaro? Ognun campione
Qui di Sefora fassi. Oh rabbia! A lei
Queste congiure debbo? A lei le debbo
lì a quel preteso messagger del cielo!—
Eppure.... ammetter d’Erodiade il sogno
Non posso, no: delle congiure, oh! mai
Incitamento, mai non fu la pia
Figlia d’Areta; nol fu mai Giovanni!
Perchè così dunque li aborro, e a stento
Dall’immolarli mi trattengo?— Amore
Per Erodiade è questo ancor? Sovente
Estinta fiamma la stimai. Rïarde
Quando vietarla altri a me vuole. Un solo
Pensiero in me son divenuti il soglio
Ed Erodiade: — un sol pensier la plebe
E Sefora e Giovanni, e il loro Iddio!


SCENA V.

SEFORA e detto.

Sefora.Erode, ohimè! che intesi? Al furïante
Volgo, ch’espulsa vuol da te la rea,
Rispondi col diniego e colle lance?
Non per trionfo del mio offeso orgoglio,
Ma per te ti scongiuro: alto periglio
Veggio crescerti intorno; uopo è nemici
Tali calmar. Non adirarti; pensa....
Erode.Che alle minacce piegansi i codardi,
Non io, non il tuo re. Che se t’affida
Oggi delle paterne armi la gloria
E delle turbe il tradimento e il loro
Folle sognar d’un redentor l’impero,

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