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atto primo. — sc. ii. 385

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E plausi vivo, e nondimeno io spesso
Dell’abbagliante mia sorte diffido,
E felice non son.
Alfredo.                                   Farti felice
Potresti, il re volgendo a più clemenza,
Dritti acquistando in cor d’ogni Britanno
A stima e gratitudine.
Anna.                                             Ah! maggiore
Ch’ella non è, ti par la mia possanza
Sovra l’alma d’Arrigo. Oh, che non dissi
Per liberar dal rogo o dalla scure
Or questo or quel?
Alfredo.                                   Creder tel vò; ma il volgo,
Ahimè, nol crede. Ei scellerata autrice
Di tai scempi ti noma. Ei raccapriccia
Che tu salvato in questi dì non abbia
Quella vergin di Kent che tanto avea
Di santità rinomo.
Anna.                                   Elisabetta!
La furibonda Elisabetta! io volli
Per la pietà del sesso mio salvarla.
Tu non sai: l’empia mi spregiò; negommi
Il titol di regina, e orrende cose
Mi profetò. L’abbandonai.
Alfredo.                                                  La vidi,
La vidi trarre al rogo. Udii l’estreme
Parole sue. Ridirtele degg’io?
Anna.Che!
Alfredo.          Ridirtele, certo, uom non ardiva
In questa di menzogne e di lusinghe
Ridente corte. Or sappilo, o infelice,
E non prenderle a scherno.
Anna.                                             Oh ciel!
Alfredo.                                                       Motori
Noi di riforma nella chiesa, indarno
Vorremmo annoverar tra’ scellerati
Ogni nostro avversario, ogni seguace
Del roman culto. Ah no! v’ha tra coloro

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