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386 | tommaso moro. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:391|3|0]]
Anime alte, piissime, dotato
Di tai doni da Dio, ch’averne è forza
Reverenza, terror. Quella fanciulla
Veramente parea da onnipossente
Impulso mossa.
Anna. E che dicea morendo?
Noi maledisse?
Alfredo. Perdonovvi, e Dio
Pregò per voi, per te.
Anna. Misera!
Alfredo. E sciolse
Nobil lamento sulla patria afflitta
Da sì lunghe discordie, e invocò grazia
Sul capo tuo, sì ch’a più degno calle
In avvenir t’avvii. Quindi....
Anna. T’arresti?
Non osi proseguir?
Alfredo. Quindi proruppe:
«Ma guai d’Arrigo all’infelice amata,
Se persiste nel mal, se compier lascia
D’incolpati cattolici altro scempio!
Se immolar de’ mortali il più innocente
Lascia!»
Anna. Chi?
Alfredo. Moro. E se immolato è Moro.
Pronosticò la profetante ad Anna
Il disamor d’Arrigo stesso... e morte.
Anna.E tu potresti dubitar?...
Alfredo. Che avviso
Fosse del ciel? Tu incredula non sei:
Impallidir ti veggio.
Anna. È ver: terrori
E non so qual presentimento infausto
M’affliggono talor. Forse è fiacchezza,
Ma vincerli non so. Mercè ti rendo
Di tua animosa confidenza. Io voglio,
Sì, le mie forze addoppiar voglio, Arrigo
A distor dalla ria carnificina