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388 tommaso moro.

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Altri non sa, mi vietano alla figlia
D’un accusato così spesso ascolto
Dar quant’io bramerei.
Margher.                                             Creder non posso
Che l’imposta corona interamente
Cangiasse Anna Bolena. Io vi conobbi
Mite, soave cogli afflitti. Ah quella,
Quella voi siete ancor! sebben da cure
Di regno e da lusinghe ora agitata,
Quella voi siete ancor. Nella pupilla
Vi leggo i sensi che nudrire un tempo
Vi degnavate di bontà, d’amore
Per la figlia di Moro.
Anna.                                             Ah! Fortunato
Tempo era quello, in cui vantarti amica
Lecito m’era. Parla: in che potrei
Le tue angosce lenire?
Margher.                                             Il padre mio
Perchè da un anno fra esecrande mura
Giace prigion? Non perchè a voi dispiacque?
Indulgente, deh, siategli! A rispetto
Vi mova il suo magnanimo sincero
Sentir; non date di delitto il nome
Ad opposizïon ch’ei lealmente,
Non per odio, vi fea. S’ei nell’ardore
Del suo zel trascorreva, il suo dissenso
Manifestando al vostro imen col sire,
Pensate che ingannarsi egli potea
Per amor di giustizia e della patria,
E di voi stessa. Ah sì, di voi! Nè solo
Fu il padre mio in temer che a voi fatale
Tornasse quest’imen. Più d’un amico
Dissuäderven già tentò.— Dispetto
Deh non vi rechin mie parole: udite....
Poichè il temuto imene Iddio permise,
Or benedicalo ei! Ma benedirlo
Iddio mai non potrà, s’angiol di pace
Anna Bolena non divien; se i giusti

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