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394 | tommaso moro. |
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ATTO SECONDO.
Prigione.
SCENA I.
MORO.
Molto amavami il re; ch’egli m' abborra
Creder non posso. Oh giungess’io, col forte
Oppormi a sue ingiustizie, a far profonda
Sovra il suo core impronta di vergogna
E di spavento! Oh me felice s’egli,
Da cotanti applaudito ed ingannato,
In me, ch’oso biasmarlo, il vero amico
Riconoscesse! Non dispero. — E s’anco
I bugiardi plaudenti avesser palma,
E del troppo veridico obliati
Fosser tutti i servigi, ed obliata
L’incorrotta sua vita, ed obliata
La fama ch’ei (soverchia forse) gode?...
Se del troppo veridico la testa
Devota in breve dall’ingrato Arrigo
Al carnefice fosse?... Allontaniamo
Quest’orribil pensieri — No! in tal pensiero
Fermar mi debbo! — A questa giusta impresa
D’esser fedele a Dio, d’oppormi a tutte
Inique leggi, a tutte inique stragi,
Mossi io con leve cor? moss’io col patto
Di trionfar? — Tu il sai, Signor: vi mossi
Dopo fervide preci, e dopo esame
Lungo de’ miei doveri e di mie forze:
E questo forze.... le sentii! le sento!
Fermiam la mente in quel pensier: la morte!
— O sciagurati orfani figli miei!
Che diverranno? — Stolto dubbio! Figli