Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto primo.—sc. ii. | 445 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:450|3|0]]al futuro, finchè il passato non è sommerso nelle tenebre, è inutile ch’io lo ricerchi. — O madre terra! e tu nascente giorno, e voi, o monti, perchè così belli? Io non posso amarvi. E tu, occhio lucente dell’universo, che ora ti apri sopra tutte le cose ond’empirle di delizia, tu non risplendi sovra il mio cuore. E voi, balze, sul cui estremo orlo mi sto, guardando giù sulla riva del torrente gli alti pini impiccioliti come arboscelli, nella vertigine della lontananza; se un salto, una scossa, un moto, un sospiro portasse il mio seno sul pietroso letto di quell’abisso onde riposare per sempre, — perchè mi soffermo? Sento l’impulso — eppur non mi scaglio; veggio il pericolo — e non retrocedo; il mio cervello gira — e il mio piede è fermo: vi è un potere sopra di me che mi trattiene e comanda ch’io viva; se pure è vita il portare entro me questa aridità di spirito, ed essere io il sepolcro dell’anima mia, poichè ho cessato di giustificare a me stesso i miei fatti — ultima infermità del malvagio. Oh, tu, fenditore di nubi, alato ministro (passa un’aquila), il di cui fortunato volo è presso i cieli il più alto, deh! piombassi tu così presso di me — ch’io fossi tua preda, e saziassi i tuoi figli; tu sei andata dove l’occhio non può seguirti; ma il tuo penetra all’ingiù, e sopra ed intorno con acutissima vista.— Bello! quanto bello è tutto questo visibile mondo! quanto glorioso nella sua azione ed in sè stesso! ma noi che ci diciamo suoi sovrani, noi mezzi polvere, mezzi deità, egualmente incapaci di inabissarci e di sorvolare, facciamo colla nostra mista essenza un conflitto de’ suoi elementi, e respiriamo l’alito della degradazione e dell’orgoglio, luttando con bassi bisogni e sublimi voleri, finchè la nostra mortalità predomina, e gli uomini sono — ciò che non dicono a sè medesimi e non si confidano uno all’altro. Odi! (si ode una zampogna pastorale in distanza) la nota, la musica naturale della zampogna delle alpi — qui i giorni patriarcali non sono una favola pastorale — que’ suoni in un’aria libera, misti ai sonagli dell’armento ramingo.... oh! l’anima mia vorrebbe sorbire quegli echi. — Oh! foss’io l’invisibile spirito d’un amabile suono, una voce vivente, un’armonia animata, un incorporeo diletto, nato e spirante col giocondo tono che lo ha formato.