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448 | manfredo |
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ATTO SECONDO.
SCENA I.
Capanna nelle Alpi di Berna.
MANFREDO e il CACCIATORE.
Cacciatore. No, no, riposati, non devi ancora uscire. La tua mente e il tuo corpo sono egualmente incapaci, almeno per alcune ore, di fidarsi un all’altro; quando starai meglio, io sarò tua guida, ma per qual parte?
Manfredo. Non importa: conosco benissimo la mia strada, e non ho d’uopo di guida.
Cacciatore. Il tuo aspetto e il tuo contegno ti palesano d’alto lignaggio, uno di quei capi supremi di cui le rupi sormontate di castella guardano sulle profonde valli; — qual di esse ti chiama signore? Io non conosco altro che le loro porte; il calle della mia vita mi conduce di rado a scaldarmi agli enormi focolari di quelle vecchie sale, banchettando coi vassalli; ma i sentieri che vanno dalle nostre montague alle loro porte, io li conosco dall’infanzia; — qual è fra queste la tua?
Manfredo. E che importa?
Cacciatore. Ebbene, signore, perdona alla mia domanda, e sii di miglior cera. Vieni, gusta il mio vino; è d’un’antica vendemmia; molte volte ha sciolto il gelo delle mie vene in mezzo alle nostre ghiacciaje, or faccia altrettanto alle tue. Vieni, rispondi al mio brindisi.
Manfredo. Via, via! v’è del sangue sull’orlo! Non cadrà dunque mai — mai nella terra?
Cacciatore. Che intendi dire? i tuoi sensi vaneggiano.
Manfredo. Dico che è sangue — il mio sangue! la vera calda corrente che scorrea nelle vene di mio padre e nelle nostre, quando eravamo nella nostra gioventù, ed avevamo un cuore, e ci amavamo un l’altro come non avremmo dovuto amarci, e questo sangue fu versato; ma ancora si rialza colo-