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atto secondo.—sc. ii. 451

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:456|3|0]]colarmente sulla rupe, o scagliano in lungo le loro linee di spumante luce, e qua e là, simile alla coda del pallido corsiero, del gigantesco cavallo che dev’essere cavalcato dalla morte, come dice l’Apocalisse. Altri occhi fuorchè i miei non bevono questa vista di delizia; vorrei essere sempre solo in questa dolce solitudine, e dividere col Genio del luogo gli omaggi di queste acque. — Evochiamolo. (Manfredo prende un po’ d’acqua nella palma della mano, e la getta in aria, mormorando lo scongiuro. Dopo una pausa, la Fata dell’Alpi sorge sotto l’arco che fanno i raggi del sole al torrente.)

Manfredo. Leggiadro Spirito! la tua chioma è di luce, e gli occhi tuoi scintillano di gloria; nella tua bella forma le figlie meno mortali della terra crescono a sovrumana statura, in un’essenza di purissimi elementi. I tuoi colori sono quelli della gioventù; — la tua carnagione è simile alla guancia d’un fanciullo dormiente, ondeggiato dai battimenti del cuore materno, o simile alle tinte rosee che lascia il crepuscolo estivo sulla virginea neve delle ardue ghiacciaje, quasi rossore della terra in abbracciamento col cielo. — Tai colori splendenti sul celeste tuo volto umiliano le bellezze dell’arco solare che s’inclina sopra di te. Leggiadro Spirito! nella chiara tranquilla tua fronte, dove è specchiata la serenità dell’anima che dimostra l’immortalità di essa, io leggo che tu perdonerai a un figlio della terra — le astruse potenze della quale gli permettono qualche volta di conversar con loro — s’egli si prevale dei suoi incanti per chiamarti e vagheggiarti un momento.

Fata. Figlio della terra, io conosco te e le potenze che danno potenza a te; io ti conosco per un uomo di molti pensieri e di molte azioni nel bene e nel male, estremo in ambidue, fatale o fatato nei tuoi patimenti. Io ho aspettato questo,— che vuoi da me?

Manfredo. Contemplare la tua bellezza,— nient’altro. L'aspetto della terra mi ha tolto il senno, ed io prendo rifugio ne’ suoi misteri, e penetro nel soggiorno di coloro che la governano — ma essi non possono ajutarmi. Io ho cercato da loro ciò che non poteano concedere, e or non cerco più altro.

Fata. Qual potrebb’essere la domanda che non possano soddisfare i potentissimi, i regolatori dell’invisibile?

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