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atto secondo. — sc. ii. 55

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Eufemio.                              A morte sei.
Teodoro.                                                  La figlia mia....
Rispondi.... Oh gioja! Di furor tu avvampi:
L’indegno patto rigettaro i prodi
Sudditi miei.
Eufemio.                              M’insulti ancor? Rimembra
Che non più sudditi hai: schiavo d’Eufemio
Ti fan que’ ceppi.
Teodoro.                              Il regio animo i ceppi
A me non tolgon; nè men vil tu sei
Per esser forte.
Eufemio.                              Audace! A che m’astringi?
Mia generosa destra io nel tuo sangue
Bagnar dovrò?... — Pietà e disdegno il colpo
Rattien. La vita io t’offro ancor, se un cenno
Mandar consenti di tua man vergato
Alla città, perchè tradotta in campo
Lodovica mi venga.
Teodoro.                                        E speri, o stolto,
Che obbedïente mi saria Messina?
Vilipeso, a ragion, fóra il mio scritto.
Eufemio.Tu dunque vanne, tu medesmo.... e teco
Almanzor. La tua fè dammi, che tutto
Adoprerai per ottener che pago
Sia il voler mio. Pensa che a te lo scettro,
A’ cittadini tuoi vita, ricchezze,
Religïon, tutto conservi: padre
Della tua patria giustamente allora
Nominato sarai. Sacrificaro
Per la comun salvezza altri parenti
Lor dolce prole; non da te si chiede
Che d’una figlia i dì recida. All’ombra
D’un fero altar sepolta vive: trarla
Da quella tomba, all’uom che immensamente
L’ama affidarla in santo nodo avvinta....
Tal sacrificio ti s’impon.
Teodoro.                                                  Più lieve
Mi saría d’una figlia a brani a brani

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