Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
28 | EURIPIDE |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu{{padleft:97|3|0]]
che presso giace al salso mare, e vanta
città belle turrite, popolose
d’Ellèni e insiem di barbari, e le danze
quivi introdotte e i riti miei, ché chiaro
fosse ai mortali ch’io son Nume, a questa
città d’Ellèni primamente io giunsi.
E l’urlo eccitatore in Tebe, prima
che in ogni altra città d’Ellade, alzai,
e le addossai del daino il vello, e in pugno
le posi il tirso, il giavellotto d’ellera,
perché le suore di mia madre, quelle
che meno lo dovean, disser che mai
figlio non fu Dïòniso di Giove,
e che Semèle, da un mortale incinta,
a Giove attribuita avea la colpa,
per consiglio di Cadmo: onde l’Iddio
per le nozze mentite a lei die’ morte.
Però fuor dalle case io le cacciai
in preda alla follia. Prive di senno
han per dimora il monte; e le costrinsi
ad indossar dell’orge mie le spoglie.
E quante donne ha la città di Cadmo,
fuor dalle case, a delirare, io spinsi;
e donne insieme e giovinette corrono
a ciel sereno sotto i verdi abeti.
Voglia o non voglia, deve Tebe intendere
che priva è ancor dei riti miei, che deve
me per mia madre celebrar, ch’io sono
figlio di Giove, e Nume apparvi agli uomini.
Cadmo il regio poter diede a Pentèo
che di sua figlia nacque, e ch’ora lotta
contro la mia divinità, m’esclude
dai sacrifici, e nelle preci oblia.