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LE SUPPLICI 11

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  ama e i pargoli belli; e noi gittiamo
  tal bene, o stolti, e la ragion di forza
  e la guerra eleggiamo, onde asserviti
  son lo stato allo stato, e l’uomo all’uomo.

Nessun dubbio, che queste parole rispecchino il sentimento del poeta: ed anche qui è da rilevare la sua concordanza col nemico Aristofane; concordanza che talora si estende — come nell’ultimo brano citato — alle immagini e alle parole.

Ma c’è poi un’altra nota, che, cosí alla bella prima, sembra discordare col pacifismo. Tesèo predica la pace, ma, in sostanza, fa la guerra. E il principio dell’intervento è come teorizzato da Etra, nelle parole che essa rivolge al figlio esitante ad assumere il patrocinio delle supplici madri.

   O figlio, no,
  questo non fare: la tua patria vedi
  che sconsigliata sia qualcun l’offende;
  ma con che fiero piglio essa squadrare
  sa chi l’oltraggia! E trova nel pericolo
  la sua grandezza. Invece, le città
  che nella calma oscuramente vivono,
  velato anche lo sguardo hanno di tènebre
  per la loro prudenza.

Naturalmente, la contraddizione esiste solo in apparenza. Euripide, mente quadrata, sente che all’infuori della devozione alla patria non esiste salute, e ad essa subordina ogni altro interesse, ogni altra idealità. Ma sente anche, con tutta la sua sensibilità di poeta, gli orrori della guerra, e, specialmente, sente fratricida la guerra che per tutta la Grecia spingeva i fratelli contro i fratelli.

Dunque, antidemocrazia, sentimento esasperato della dignità civile e dell’amor patrio, aborrimento della guerra fra-

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