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e duplice era il grido: «O voi che d’Argo,
voi che d’Atene seminate i solchi,
alla vostra città l’onta schivate».
Ogni sforzo compiendo, alfine in fuga,
non senza molto travagliar, ponemmo
le schiere argive. E qui Iolao, vedendo
Illo lanciarsi, lo pregò d’accoglierlo
nel suo carro; ed in man tolte le redini,
d'Euristeo si lanciò contro i cavalli.
Fin qui, veduto ho con questi occhi: il resto
lo dirò per udita. Allor che il borgo
attraversava di Pallène, sacro
alla divina Atena, Iolào, visto
il carro d’Euristèo, volse una prece
súbito ad Ebe, che tornar potesse
per un sol giorno giovine, e riscotere
dagli inimici la vendetta. E adesso
un miracolo udir devi: ché due
stelle sui gioghi dei cavalli stettero,
e dentro un manto oscuro il carro ascosero:
il tuo figliuolo ed Ebe, i saggi dissero.
E da quella nebbiosa oscurità,
Iolao, con forma giovanil di braccio
emerse, e presso alle Scironie rupi
d'Euristèo prese la quadriga; e strette
di lacci a lui le mani, avanza, e reca,
bellissimo trofeo, prigione il duce
felice or ora. E con la sua sventura
chiaro bandisce a ogni uom che non invidii
chi felice gli par, se pria noi veda
spento: ché la fortuna un giorno dura.

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