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quale virtù è esercitata dai popolari. Onde secondo tale ordine di reggimento principalissima parte v’è la milizia; e in tale reggimento partecipano quei che hanno in mano l’arme.
Transgressioni di questi stati sono il regno nella tirannide; l’ottimate nello stato dei pochi, la republica nello stato popolare. Perchè la tirannide è un principato d’un solo, che governa per l’utile di chi è tiranno e lo stato de’ pochi governa per l’utile de’ ricchi; e il popolare governa per l’utile de’ poveri. E nessuno di questi governi è infatto, che governi per l’utile publico. Ma egli è necessario alquanto più lungamente discorrere, che natura sia quella di ciascuno de’ contati modi di governo; conciossiachè e’ ci occorrano dei dubbî. Ma e’ s’appartiene a chi considera filosoficamente qual si voglia dottrina, e che non solamente ha l’occhio al mettere in atto, gli s’appartiene dico a un tale, ed è suo proprio ufficio non straccurare cosa alcuna, nè lasciar nulla indietro inconsiderata; anzi debbe dimostrare il vero in ciascuna cosa.
La tirannide adunque è un principato d’un solo, che, come io ho detto, governa signorilmente la civile compagnia; e stato di pochi potenti è dove li ricchi sono padroni dello stato. E il popolare all’incontro dove non li ricchi ma li poveri vi governano. Ora il primo dubbio che nasce per tal difinizione, è questo; cioè che se li ricchi fussino più di numero, ed avessino in mano il governo (posto che stato popolare fusse quello, dove i più son signori), e all’incontro, se in qualche luogo avvenisse, che li poveri fussino manco dei ricchi, ma di più qualità, e fussino padroni dello stato (posto, che il governo dei pochi sia dove il poco numero di cittadini è principe); dico in tal caso la difinizione data di questi stati non essere buona, ma ella sarà buona, se in tale difinizione s’aggiugnerà il poco numero alla ricchezza, e l’assai alla povertà, e se così tali stati per tale verso si dichino, cioè che stato di pochi sia dove li ricchi, ma pochi di numero, abbino li magistrati; e stato popolare dove li
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poveri, ma più di numero, abbino in mano il governo. Ma qui, dico, sorgerà un altro dubbio, cioè in che sorti di stato s’abbino a collocare i due modi detti di governo; cioè quello, dove i più, ma ricchi, e quello dove i poveri, ma pochi, sieno amendue padroni dello stato: s’egli è vero, che e’ non si dia altro modo di governo fuori delli conti.
Pare adunche, che tale ragione mostri, che il fare li pochi l’un modo, e l’altro li più governatori dello stato, sia uno accidente all’uno, e all’altro modo di governo, per esser in ogni luogo li ricchi pochi a novero, e li poveri assai. E per ciò non interviene, che le cagioni dette vi faccino nello stato la differenza, anzi che la differenza, che è in fra lo stato dei pochi, e in fra il popolare sia la ricchezza, e la povertà; e per necessità avvenga, che dovunche si governa con rispetto della ricchezza (o più o meno di numero, che vi siano i ricchi) che quivi sia lo stato de’ pochi potenti: e dove li poveri (ancorchè meno di numero regghino) che quivi sia lo stato popolare. Ma egli interviene, siccome io ho detto, che li primi sieno pochi, e che li secondi sieno assai; che pochi invero sono li ricchi; e della libertà partecipa ogni uomo. E per queste cagioni amendue questi stati contendono insieme.