< Pagina:Trattato de' governi.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

a mostrare, che il legislatore debbe piuttosto indirizzar gli ordini militari, e tutti gli altri in maniera, che li uomini vi amino l’ozio, e la pace; con vedersi, che la più parte di queste città, che sono armigere, si mantengono infino a tanto ch’elle hanno da combattere: e acquistato ch’elle hanno l’imperio, ch’elle si spacciano, perchè nella pace elle arrugginiscono, non altrimenti che si faccia il ferro. E di ciò n’è stato cagione il legislatore, che non l’ha avvezzate a saper vivere in ozio.


Ma perchè il medesimo pare che sia fine e alla città, e in particulare a ciascuno, e perchè la medesima diffinizione debbe essere quella dell’uomo buono, e della buona republica, però è manifesto, che nell’uno e nell’altro debbon essere le virtù, che servono all’ozio; essendo, come io ho detto più volte, la pace fine della guerra, e l’ozio del negozio.

E infra le virtù quelle servono all’ozio, e a intrattenersi, l’operarsi delle quali servono, e nell’ozio, e nel negozio: che invero molte cose necessarie bisogna presupporre per potere vivere nell’ozio. E perciò è bene che nella città sia temperata, e forte e constante: che come è in proverbio, li servi non hanno ozio. E chi non può entrare nei pericoli con fortezza è servo di chi l’assalta.

È uopo adunche per li negozî di fortezza, e di costanza, e per l’ozio di filosofia, e nell’uno e nell’altro tempo, ma molto più in quel di pace: e quando e’ non accade negoziare, è uopo di giustizia e di temperanza, perchè la guerra costrigne gli uomini ad essere giusti, e temperati, e la fortuna prospera, e l’ozio nei tempi di pace fa gli uomini contumeliosi.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.