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cosa imperfetta.
Ma forse potrà parere, che questo studio fanciullesco debba essere messo da loro nella musica per cagione d’averne spasso poi ch’ei sieno uomini fatti, e venuti in perfezione; ma se la cosa è di tal natura, a che fine debbono essi impararla? E perchè non piuttosto, siccome fanno li re dei Persi e dei Medî, si pigliano essi questo piacere, e questa disciplina mediante altri, che la sappia usare? Essendo necessario, che molto meglio l’usino quegli, che esercitano l’arte solamente tanto tempo, quanto serva ad impararla. E se pure noi vogliamo porre, che ancora questi tali vi si debbino esercitare dentro, e’ sarà bene ancora porre, che e’ si esercitino nell’arte del cucinare; ma ciò è pure disconvenevole.
Questo medesimo dubbio nasce ancora, posto che ella si faccia mutare i costumi, imperocchè a che fine bisogna impararla? E perchè non si può egli bene rallegrarsi, e ben giudicarne, udendo cantare altri, siccome fanno gli Spartani? Perchè essi, sebbene non l’imparano, pure sanno di lei fare buon giudizio, se ella è buona musica o cattiva, come si dice. E questa medesima ragione si può usare, posto che ella fusse buona a fare passare il tempo virtuosamente, cioè a che fine bisogni impararla; e non piuttosto sia meglio servirsi delle fatiche d’altri che la sappino.
E questo parere si può confermare con la credenza, che s’ha degli Dii, perchè nè Giove stesso canta, nè suona la citara, siccome dicono li poeti, anzi, tali arti tutte si chiamano vili, e il farle è da uomo, che sia o ebro, o che scherzi. Ma forse sia meglio di queste cose considerarne dappoi.
E il primo dubbio è vedere, se la musica si debbe mettere infra le discipline o no, e quello ch’ella possa più infra le tre cose dette: cioè o fare disciplina, o spasso, o intrattenimento onesto. E