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28 | trattato dei governi |
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CAPITOLO VI.
che l’acquisto che si fa col danaro
Ma a questa specie di possedere ne conseguita un’altra, che è solita di chiamarsi (e con ragione) specie ragunatrice di danari; mediante la quale non si scorge mai il fine, nè il termine alla ricchezza, nè al possedere. E questa tale specie molti hanno tenuto, che sia la stessa con la disopra racconta, per la vicinità che ambedue hanno insieme. Ma ella non è la medesima, sebbene ella non è ancora dalla prima molto lontana; ma l’una è per natura, e l’altra no: ma fassi questa più per via di esperienza e per via d’arte. Della quale pigliamo qui il principio di ragionarne. — Di qualunche cosa, che si possiede, l’uso se ne ha in due modi; e l’uno e l’altro modo è per sè, ma non già similmente per sè; ma l’uno è proprio, e l’altro è improprio alla cosa usata. Com’è, verbigrazia, della scarpetta, l’uso di lei uno è il calzarsene, e l’altro è il barattarla: che invero e’ se ne può l’uomo servire all’uno e all’altro uffizio. Imperocchè chi la baratta, e dàlla a chi n’ha bisogno pei danari, o altra cosa da mangiare, usa quella scarpetta come scarpetta; ma non già l’usa al suo proprio ufficio perchè ella non fu fatta per fine d’esser barattata. E questo medesimo si può considerare in ciascuna altra cosa che si possiede; perchè la permutazione in ciascuna cosa fu cominciata ad usarsi bene dapprima naturalmente per aver gli uomini chi più e chi meno delle cose necessarie. — Per il quale verso manifestamente si vede, che l’arte che baratta, ed esercita i danari, chiamata usuraria, è contro a natura;