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libro secondo — cap. ii. 49

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Trattato de' governi.djvu{{padleft:68|3|0]]gano, o uno almeno. E nelle città è di necessità, che vi sia un’amicizia annacquata per simile comunicanza; e ch’un figliuolo non possa chiamarvi suo padre, nè un padre possa nominarvi un suo figliuolo. Perchè così come un poco di dolce messo in assai acqua fa di sè una mistione insensibile, parimente interviene che stia dove si ha da tener conto del parentado l’un con l’altro con questi nomi posti da Socrate; non essendo distinto in tal modo di vivere nè il padre dal figliuolo, nè il figliuolo dal padre, nè il fratello dal fratello; chè due cose invero son quelle, che sopra di tutte le altre ingenerano negli uomini diligenza e amore; il primo, dico, e l’oggetto amabile. Le quali due cose non si ritrovano in questi siffatti ordini. Ma l’ordine ancora, che è circa il trasportare i figliuoli, com’ei son nati, ora dai contadini, e dagli artefici ai custodi, ed ora dai custodi agli artefici, ed ai contadini, è molto tumultuario: in che modo, dico, e’ possa stare. Perchè egli è di necessità, che chi gli dà, gli conosca; e che chi gli trasporta a qualcheduno i trasportati consegni. Oltra di questo gli inconvenienti detti già innanzi molto più seguiranno infra costoro; come è dire, le contese, gli amori, e le morti: perchè i trasportati ad altri non chiamano di poi i custodi nè fratelli, nè figliuoli, nè padri. Nè all’incontro i dati ai custodi chiamano più i loro in quel modo. Di maniera che e’ non si hanno per il parentado ad aver più rispetto a far cosa alcuna. E quanto alla comunicanza delle mogli, e dei figliuoli, siasene talmente determinato. =




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