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50 | trattato dei governi |
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CAPITOLO III.
è cosa pessima.
Dopo questo è da vedere intorno alla roba qualmente ella debba star disposta in fra quei cittadini, che abbino a vivere sotto una ottima repubblica; s’ella debba essere, dico, a comune, o no. E tale considerazione facciasi separatamente da quella, che fu ordinata da Socrate circa i figliuoli e le mogli; io dico intorno alle possessioni, posto che i figliuoli, e le mogli fossin proprie nel modo, che s’usa oggidì, se e’ fosse meglio, che le possessioni, e l’uso d’esse fossin comuni, o no, verbigrazia, se ei fosse meglio, che le terre fossero dispersè e i frutti arrecati si consumassin comunemente, siccome usano di fare certi popoli; ovvero fosse meglio usare il modo opposito, cioè che la terra fosse comune, e comunemente fosse lavorata, e che i frutti si dividessino in proprio; il quale ordine si dice, che è, osservato in fra alcuni popoli barbari. Ovvero sarebbe me’ fatto, ch’ei fossin comuni le terre e i frutti. — Se i contadini adunque fossin diversi dai cittadini, ci si potrebbe trovare un altro modo, e più agevole; ma lavorandole essi cittadini da per loro, tale materia ha più difficoltà. Conciossiachè non essendo uguali ne’ frutti e nelle fatiche, per necessità v’intervenghino delle querele fatte cioè contra chi gode assai, e dura poca fatica da chi gode poco, e molto lavora. — Insomma tutto l’ordine è faticoso e difficile, che si fa intorno alla compagnia del vivere insieme; e dell’altre cose, in che gli uomini hanno a convenir l’un