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aprì, e il colonnello Proctor

apparve parimente sul passatoio seguito dal suo testimone, un Yankee della sua tempra. Ma al momento che i due avversari stavano per scendere sulla strada, il conduttore accorse e gridò:

«Non si scende, signori.

— E perchè? domandò il colonnello.

— Abbiamo venti minuti di ritardo, e il treno non si ferma.

— Ma io devo battermi col signore.

— Me ne incresce, rispose l’impiegato; ma si parte immediatamente. Ecco la campana che suona!»

La campana suonava difatti, e il treno si pose subito in cammino.

«Sono veramente desolato, signori, disse allora il conduttore. In qualunque altra circostanza vi avrei servito volentieri. — Ma, alla fin fine, giacchè non avete avuto tempo di battervi qui, chi v’impedisce di battervi strada facendo?

— Ciò non garberà forse al signore! disse il colonnello con aria beffarda.

— Mi garba invece perfettamente, rispose Phileas Fogg.

— Via, pensò Gambalesta, decisamente siamo in America! e il conduttore del treno è un gentleman del fior fiore!»

E in così dire egli seguì il suo padrone.

I due avversarii e i loro testimoni, preceduti dal conduttore, si recarono, passando da un vagone all’altro, alla coda del treno. L’ultimo vagone non era occupato che da una decina di viaggiatori. Il conduttore chiese loro se volevano compiacersi, per pochi istanti, di lasciar libero il passo ai due gentleman che avevano una questione d’onore da

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