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— Babbo! disse Geranda, con una commozione così straziante che il vecchio parve tornare nel mondo dei viventi.
— Tu qui Geranda! esclamò, e tu Aubert!... Ah miei cari fidanzati, voi venite a sposarvi nella nostra vecchia chiesa.
— Padre mio, disse Geranda, afferrandolo per il braccio, torna alla tua casa di Ginevra, torna con noi.
Il vecchio si svincolò dall’amplesso della figlia e si slanciò verso l’uscio ove la neve s’ammucchiava a grossi fiocchi.
— Non abbandonate i figli vostri, esclamò Aubert.
— Perchè, rispose tristamente il vecchio orologiaio, perchè tornare a quei luoghi che la mia vita ha già lasciati e dove è sepolta una parte di me medesimo?
— La vostra anima non è morta, disse l’eremita.
— La mia anima? Ah no.... le sue ruote sono buone, io la sento battere in tempi eguali.
— L’anima vostra è immateriale! L’anima vostra è immortale, soggiunse l’eremita con forza.
— Sì,... come la mia gloria.... ma essa è chiusa nel castello di Andernatt e voglio rivederla.
L’eremita si fè il segno della croce, Scolastica si sentiva venir meno ed Aubert sorreggeva Geranda nelle proprie braccia.
«Il castello di Andernatt è abitato da un dannato, disse l’eremita, da un dannato che non saluta la croce del mio eremitaggio.
— Padre mio, non andarci.
— Io voglio la mia anima, la mia anima che è mia!...
— Trattenetelo, trattenete mio padre, gridò Geranda.
Ma il vecchio aveva lasciato la soglia e si era lanciato nel buio, gridando:
«La mia anima! La mia anima!»
Geranda, Aubert e Scolastica si precipitarono dietro i suoi passi; camminarono per impraticabili sentieri, sui quali mastro Zaccaria passava come l’uragano, spinto da una forza irrestibile. La neve turbinava intorno ad essi e mesceva i suoi larghi fiocchi alla schiuma dei torrenti straripati. Passando dinanzi alla cappella elevata in memoria della strage della le-