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per il ritratto di dante. 135

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Ben v’ha chi sente il danno,
  E chi si stringe a te, ma son sì pochi
  Che le cappe fornisce poco panno:
  Padre, perdona agl’intelletti fiochi,
  Se tardo orecchio ancor non ha sentito
  Tuo nobile ruggito;
  Se fraude spiuma, se iattanza veste
  D’ali di struzzo l’aquila celeste.

Io, che laudarti intendo
  Veracemente, con ardito innesto,
  Tremando all’opra e diffidando, prendo
  La tua loquela a farti manifesto.
  Se troppa libertà m’allarga il freno,
  Il dir non mi vien meno:
  Lascia ch’io venga in piccioletta barca
  Dietro il tuo legno che cantando varca.

Maestro, o Signore,
  O degli altri poeti onore e lume,
  Vagliami il lungo studio e il grande amore
  Che m’han fatto cercar lo tuo volume.
  Io ho veduto quel che s’io ridico,
  Del ver libero amico,
  Da molti mi verrà noia e rampogna,
  O per la propria o per l’altrui vergogna.

Tantalo a lauta mensa
  D’ogni saper, vegg’io scarno e digiuno,
  Che scede e prose e poesie dispensa,
  E scrivendo non è nè due nè uno.
  Oimè, Filosofla, come ti muti,
  Se per viltà rifiuti
  De’ padri nostri il senno, e mostri a dito
  Il settentrïonal povero sito!

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