< Pagina:Versi di Giuseppe Giusti.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
180 l'amor pacifico.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Versi di Giuseppe Giusti.djvu{{padleft:204|3|0]]


La sera, quando s’avvicina l’ora
  D’andare alla burletta o alla commedia,
  Veneranda che mastica e lavora,
  Senza scrollarsi punto dalla sedia
  Sbadiglia e poi domanda: il tempo è buono? —
  Stupendo. — Guarda un po’, che ore sono? —

Son l’otto. — Proprio l’otto? Ora mi vesto. —
  Brava. — Ma ti rincresce d’aspettarmi? —
  No, no, vestiti a comodo. — Eh fo presto! —
  (E lì piantati e duri come marmi.)
  Taddeo, che ore sono? — Son le nove. —
  Dunque scappo a vestirmi. — (E non si move.)

Taddeo, che dici, mi vesto di nero? —
  Sì, vestiti di nero. — O la mantiglia
  L’abbia a prendere? — Prendila. — Davvero?
  O se è caldo? — Allora non si piglia. —
  Così restano in asso, e dopo un pozzo:
  Che ore sono? — Son le dieci e mezzo. —

Diamine! O dove sia la cameriera?....
  Basta, oramai sarà l’ultima scena;
  Che diresti? — Anderemo un’altra sera. —
  Sì, dici bene, è meglio andare a cena. —
  E di questo galoppo, ognuno intende
  Che vanno avanti anco l’altre faccende.

Liti, capricci, chiacchiere, dispetti,
  Non turbano quel nodo arcibeato;
  La Gelosia c’ingrassa di confetti,
  Il Sospetto ci casca addormentato;
  Amor ci va, sbrigata ogni faccenda,
  E credo che ci vada a far merenda.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.