< Pagina:Versi di Giuseppe Giusti.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

il sortilegio. 231

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Versi di Giuseppe Giusti.djvu{{padleft:255|3|0]]


Maso, bada alla gente! Il viciname
  Sparla di te; che ti se’ mal ridutto,
  Che un giorno o l’altro quel giocaccio infame
  T’ha da portare a qualcosa di brutto:
  Oh senti, Maso mio, meglio la fame,
  Andar nudi, accattare, è meglio tutto;
  Ma, se non altro, non darmi il rossore
  Che tu perda col pane anco l’onore.

E sì dicendo, a lui s’era accostata
  E dolcemente gli tendea la mano,
  Continuando con voce affannata
  A interrogarlo, a scongiurarlo invano,
  Chè da sè la respinse, e dispietata-
  -mente la minacciò quel disumano,
  E di tacer le impose, e che di volo
  Andasse a letto, e lo lasciasse solo.

Andò la dolorosa, e mezza morta
  Senza spogliarsi in letto si distese:
  E là piange, e si strugge e si sconforta,
  Cheta, in sospetto e sempre sull’intese;
  Nè molto sta, che cigolar la porta
  Udendo, sorge, e coll’orecchie tese
  Sente, pian piano, con sordo stridore,
  A doppia chiave riserrar di fuore.

Balza da letto, e prima che s’involi
  Del tutto, vuol seguirlo arditamente:
  E poi non si risolve, e de’ figlioli
  Sorge il pensiero a divider la mente;
  Ma tosto il dubbio di lasciarli soli
  Cede al timor più vivo, e più presente;
  Scende e tenta la toppa, e nulla avanza,
  E del forzarla è vana ogni speranza.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.