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236 | il sortilegio. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Versi di Giuseppe Giusti.djvu{{padleft:260|3|0]]
Raggranellati tutti e fatto il mazzo,
La donna fu creduta della lega:
Il Merciaiolo citato a Palazzo,
Svesciando il caso dall’alfa all’omega,
Provò che per uscir dell’imbarazzo
Avea dato una mano alla bottega.
Tant’è chi ruba che chi tiene il sacco:
Dunque fu detto che battesse il tacco.
Con più giustizia della falsa accusa
Uscì netta la misera innocente,
Ma di vergogna e di dolor confusa
Pericolò di perderne la mente;
Perocchè fissa in quella notte, e chiusa
Nel proprio affanno continuamente,
Da paurose immagini assalita
S’afflisse e tribolò tutta la vita.
Veggano intanto i Re, vegga l’avaro
Gentame intento a divorar lo Stalo,
Di quanti errori il pubblico denaro
E di che pianto sia contaminato!
Fuman del sangue sottratto all’ignaro
Popolo, per voi guasto e raggirato,
Le tazze che con gioia invereconda
Vi ricambiate a tavola rotonda.
Dritto e costume nel consorzio umano
Così, per vostre frodi, hanno discordia:
E cupidigia vi corrompe in mano
E la giustizia e la misericordia;
Chè assolver non si puote un atto insano
Che con legge e ragion rompe concordia;
Nè giustamente l’error mio si danna,
Quando il giudice stesso è che m’inganna.