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250 | il delenda cartago. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Versi di Giuseppe Giusti.djvu{{padleft:274|3|0]]
I sordi tramenii delle congiure,
Il far da Gracco e da Robespierrino,
È roba smessa, solite imposture
Di birri, che ne fanno un botteghino.
Questi Romanzi, la mi creda pure,
Furono in voga al tempo di Pipino;
Oggi si tratta d’una certa razza
Che vuole Storia, e che le dice in piazza.
Sicchè, non sogni d’averla da fare
Col Carbonaro, nè col Frammassone,
Giacobino che voglia chiamare
Chi vive al moccolin della ragione;
Si tratta di doversela strigare
Con una gente che non vuol Padrone;
Padrone, intendo, del solito conio,
Chè un po’ tarpati, e’ non sono il Demonio.
Dunque, Padrone no! L’ha scritto? O bravo!
Padrone no! Sta bene e andiamo avanti:
Repubblica, oramai, Tiranno, Schiavo,
E altri nomi convulsi e stimolanti,
Sì, lasciamoli là: giusto pensavo
Che senza tante storie e senza tanti
Giri, si può benone in due parole
Tirar la somma di ciò che si vuole.
Scriva. Vogliam che ogni figlio d’Adamo
Conti per uomo, e non vogliam Tedeschi:
Vogliamo i Capi col capo; vogliamo
Leggi e Governi, e non vogliam Tedeschi.
Scriva. Vogliamo, tutti, quanti siamo,
L’Italia, Italia, e non vogliam Tedeschi;
Vogliam pagar di borsa e di cervello,
E non vogliam Tedeschi: arrivedello.