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alli spettri del 4 settembre 1847. 281

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È poca plebe: e d’oro e di penuria
  Sorge, a guerra di cenci e di gallone:
  Censo e Banca ne dà, Parnaso e Curia,
  Trivio e Blasone.

È poca plebe: e prode di garrito,
  Prode di boria e d’ozio e d’ogni lezzo,
  Il maestoso italico convito
  Desta a ribrezzo.

Se il fuoco tace, torpida s’avvalla
  Al fondo, e i giorni in vanità consuma;
  Se ribollono i tempi, eccola a galla
  Sordida schiuma.

Lieve all’amore e all’odio, oggi t’inalza
  De’ primi onori sull’ara eminente,
  Doman t’aborre, e nel fango ti sbalza,
  Sempre demente.

Invano, invano in lei pone speranza
  La sconsolata gelosia del Norde.
  Di veri prodi eletta figliolanza
  Sorge concorde,

E di virtù, d’imprese alte e leggiadre
  L’Italia affida: carità la sprona
  Di ricomporre alla dolente madre
  La sua corona.

O popol vero, o d’opre e di costume
  Specchio a tutte le plebi in tutti i tempi,
  Levati in alto, e lascia al bastardume
  Gli stolti esempi.

Tu modesto, tu pio, tu solo nato
  Libero, tra licenza e tirannia,
  Al volgo in furia e al volgo impastoiato
  Segna la via.

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