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Il Secol Voftro, quando Atene udia
Il Popoi ne Teatri, e ne l’Arene
Fatto da l’ufo eftimatore accorto
Giudicar dritto, ed i migliori in alto
Del gìufto fuo favor levar con l’aura.

Ma quella, che il gran Conti Itala fcriffe
Nobil Tragedia, efea, ed ornai confoli
D’Italia il buon defir. Io non m’inganno,
Veggiola in fu le Scene il grave «galfo
Movere, e da’ fuoi detti ufeir diletto,
E maraviglia: odo le liete grida,
E di fua brevità farfi querele.
Diranno ovunque Ella fìa udita: Ah quello,
Quello è il parlar Romano, e quelli fono
I Romani collumi. E’ forfè in vita
Ccfar tornato, ed il fier Bruto, e Caflio
D’affetti vuoto? E qui fi finge, o vera
L’alta congiura fi rinnova? Apollo
Già mei predille, e non andrà de’ venti
Preda, e ludibrio il non fallace augurio.
Tu Signor, per cui debbe il nobil carme
Veder la luce, e del tuo nome ornarli,
Tu lo concedi a i comun Voti, e ficgui

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