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(XVIII.)

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  Potria per la sublime Epica tromba,
  Che un novo Achille, o un redivivo Ulisse,
  135O l’insigne pietà d’ un’altro Enea,
  E d’ un’altro Goffredo al Cielo ergesse;
  Ma, se il Meonio, o se il Cantor di Manto,
  O se non alza da l’augusto Avello
  Il gran Torquato l’onorata fronte,
  140Penderà muta da quel santo alloro,
  Dove di tal Maestri assai contenta
  Di propria mano la sospese Apollo.
Questi, ed altri pensier, che per la mente
  Come di Maggio ad Alveare intorno
  145Ronzanti pecchie, a me giacente in piuma
  L’un dopo l’altro si moveano a prova,
  Ruppe, e disciolse abil Coppier, che lieto
  D’Indiche Droghe, e d’odorata spuma
  Largo conforto mi recava in Nappo
  150Di Cinese lavoro. Io la man porsi
  Al Nettare beato, e poiché a sorso
  A sorso l’ebbi delibato, or s’abbia,
  Dissi fra me, quante col calcio aperse
  Il pennuto destriero acque in Parnaso.
  155E quaggiù sol questa Oriental bevanda


Sia

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