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(XXIV.)

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  Caro a l’intonso Apollo, e caro a Marte,
  O se t’armi di plettro, o se pur tratti
  Ne gli Ungarici Campi Asta guerriera,
  90Seguace de l’invitte Aquile Auguste,
  Dimmi, tu forse di letizia acceso
  Non dai grazie ad Amor, ch’a sì sublime
  Sposa gentil Te destinò, Te scelse?
  Dacché Tu seco anzi in Lei vivi, e spiri,
  95Veggio, veggio ben’ io, che ne’ tuoi lumi
  Altra luce miglior scintilla, ed arde;
  Tutto mutato sei: suonan dolcezza
  Le tue parole, e d’ogni parte fai
  L’interno gaudio trasparir, qual fuori
  100Di schietto permeabile cristallo
  Chiuso tralucer suol tremolo raggio.
  Tu sai, quali in cor nudre, e al vulgo cela
  Rare doti Costei, Costei, ch’or bea
  Le tue tranquille notti, unico segno
  105De i saggi desir suoi. Ferma in lei stanza
  Poser somma onestate, amabil grazia,
  Celere accorgimento, e grave senno.
  Questa è beltà verace. Ah mal s’accende
  Chi una fedel del Talamo compagna


Cer-

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