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(XXXVI.) |
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Cui la stessa talor Dea de le selve
90Palpar gode per vezzo i lunghi orecchi,
E il terso collo, che di fior silvestri
Treccia da lei contesta indi riporta.
Neve non tocca da nemico fiato
D’Austro piovoso, e fragola dipinta
95D’Ostro di primavera epan tue gote,
Che poca giovanti lanugin bionda
Velava in parte, e le tue ferme membra
Nudria saldo vigor d’alma salute.
S e ad abile destriero in vasta arena
100Lodato Cavalier premevi il tergo,
O se ne 1’arte di ferir maestro
Vibravi il ferro in simulata pugna,
O se accorto reggevi in lieve danza
L’agili Ninfe del tuo patrio fiume,
105Qual v’era mai si ben difeso, e schivo
Cor d’amabil Donzella ad arder lento?
Ma sopra tutto fin dal primo instante,
Che ancor acerbo garzoncel ti vide,
Arse per Te di sconosciuto foco
110Quella, che in suo pensier solo fra tutti
Ti pose, e solo quasi gemma, elesse.
Per |
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