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(LXI.) |
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Bella mercede, non rapito scettro
250Stese su l’aurea Parma, e su le arene,
Che Crostolo non linge, e l’Arda innonda:
Poi sì pregiato, ove di prisco, intatto,
Libero di regnar beato dono
Fra i gravi Seggi de’ togati Padri
255La Donna d’Adria va superba, e lieta,
Ch’Ella a Lui, come a novel Fabio, a novo
Scipio per Lei rinato, i suoi Vessilli
Commetter volle, e le falangi, e i fati
De le pubbliche cose, e poi di mille
260Meriti onusto, come d’altra pianta
Estrania, e rara le radici, e il tronco,
Novo decoro suo, raccor s’allegra
Folta d’annose chiome, e non mai tocca
Da ferro ardito veneranda selva,
265A le preclare sue patrizie stirpi
Con quanta gente indi da lui scendesse,
Volontaria lo aggiunse, e se negollo
Natura a Lei con innocente errore
Volle mostrar, che gliel dovea virtute:
270E non cent’altri trarrò fuor da tanti
Secoli andati, o d’arduo lauro il crine,
O di |
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