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(LXII.) |
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O di placido ulivo, o il petto adorni
D’inclito segno, troppo folta schiera,
Che tutta numerar potrebbe a pena,
275Se risolcato il fatal guado estremo
Quassù tornasse il gran Cantor di Tebe;
E voi pur di silenzio involte andrete,
Di Virtù mille già ne gli Avi accolte
Più conosciute immagini vicine.
280Tu primo accorto Antonio, onde il Farnese
Nome a i lontani Re mosse, recando
Splendidi uffizj, e non vulgari arcani;
E Tu solo di nome a Lui secondo,
Chiaro non men per dotta equestre penna,
285Ond’utili a la Patria, utili a l’altre
Lontane terre usciro aurei consigli,
Non degni certo di restarsi ancora
Senza postumo onor d’eterna luce,
Che per ben cinto, e valoroso brando,
290Il qual tentato, e da giustizia mosso
Non tardo in mano a folgorar ti venne;
E Tu quarto fra gli altri, ancor taciuto,
Feroce Guido, ir dei, cui vide l’Adda,
Vide l’Italo Pò contro la Senna
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