< Parte seconda del Re Enrico IV
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Atto quinto

NOTA

«... Il contrasto di due giovani eroi, il principe Enrico e Percy, detto Hotspur, sparge gran splendore sulle scene gravi della prima parte dell’Enrico IV. Tutte le amabili e seducenti qualità son date, a dir vero, al principe di Galles; egli si mescola alle triste brigate, senza poterne mai far parte, e tutto ciò che è ignobile gli si appressa senza lederlo. Le sue più folli stravaganze non sembrano che celie del suo spirito attivo, ritenuto suo malgrado nell’ozio. Non appena gli si offre un’occasione che lo riscuote da una tale trascuraggine, che si atteggia con fierezza, e mostra il nobile contegno d’un vero cavaliere. L’inclito valore del giovine Percy si risente per un po’ di rozzezza, d’orgoglio e di puerile ostinazione. Ma tali difetti, che lo traggono a morte immatura, non possono sfigurare la sua nobile imagine. Il suo impetuoso ardore ne trascina seco, e non ci lascia giudicarlo. Shakspeare seppe svolgere con grande sagacità le cagioni che fecero andare a vôto quella terribile sedizione, suscitata contro un principe veramente illegittimo, e che non era amato. Le superstiziose idee che Glendower avea concepite di sè; la debolezza di Mortimero; l’indomita tempra del giovine Percy, sordo a tutti i consigli della prudenza; l’irresolutezza de* suoi vecchi amici; la mancanza di unità ne’ disegni e nella trama de’ ribelli; tutti questi particolari sono trattati con mano maestra.

Dopo che Percy è scomparso dalla scena, lo splendore dell’impresa manca. Restavano ancora alcuni difensori più umili di quella causa: ma Enrico IV li soggiogò colla sua politica, anzichè colle sue geste.

Nella seconda parte dell’Enrico IV, Shakspeare impiega tanta maggior arte a fine di supplire alla mancanza di materia, quanto ch’egli non vuole mai adornare arbitrariamente l’istoria più di quello che richiegga la forma drammatica. Confuse notizie della pugna danno principio al dramma. La profonda impressione che produce la caduta di Percy (eroe il cui nome sembra destinato ad essere il grido di guerra d’una fazione ribelle), rende necessaria in quel giovine una parte attiva nelle cose pubbliche anche dopo la sua morte. Il poeta negli ultimi atti c’intrattiene coi rimorsi del re infermo, e colle sue inquietudini sulla ribellione di suo figlio. Il colloquio ch’egli ha con lui, e la loro riconciliazione son tema di alcune scene mirabili. Tuttavia ciò non sarebbe bastato a riempiere il disegno della composizione, se questi gravi avvenimenti non fossero stati interrotti da una specie di commedia che attraversa le due parti del dramma, arricchendosi di tratto in tratto di nuovi personaggi. Tale commedia ha pure la sua catastrofe nell’insieme dell’azione, quando Enrico V, salito sul trono, respinge a convenevole distanza i compagni de’ suoi giovanili traviamenti, i quali si ripromettevano grandi cose presso di lui.

Falstaff è il carattere più comico che abbia creato la fertile immaginazione di Shakspeare. Egli introdusse quel personaggio in tre de’ suoi drammi, e lo presentò sotto aspetti sempre nuovi, senza mai esaurirne l’effetto. Quella figura è talmente ben designata e con linee così esatte, che produce tosto nell’animo del lettore l’impressione che fa un antico conoscente. Falstaff è un tristo, ma il più gradito e più lepido uomo che sia mai vissuto. Ciò ch’egli ha di spregevole, non è in nessun modo palliato: è vecchio, ma non per ciò meno dedito alla voluttà e a’ diletti dei sensi; è corpulento fuor di misura, e del continuo attende a satollar l’ingordigia dell’epa; sempre indebitato, e poco scrupoloso sui mezzi di procacciarsi danaro, codardo, ciarliero, millantatore e mendace, pronto a piaggiare i presenti, come a schernire i lontani, egli però non riesce mai odioso. Si vede che le tenere cure che ha per se medesimo, non sono mischiate di malvagità verso gli altri. Quello ch’egli vuole, è di non essere infastidito ne’ suoi diletti materiali, e difende il suo riposo con tutte le armi del suo intelletto, sempre solerte e gaio, sempre apparecchiato a farsi beffe degli altri, e ad essere egli stesso bersaglio degli altrui motteggi; si vanta a ragione di avere uno spirito comunicativo, ed è il miglior compagno di piacere che si possa scegliere. Sotto goffo sembiante, egli ha molto accorgimento, e sa cavarsi a meraviglia d’impaccio, quando i suoi scherzi cominciano a dar noia; non confonde le persone che debbe ossequiare, con quelle presso delle quali può darsi una tal’aria di superiorità; ed è così convinto che il suo modo di vivere non gli potrebbe essere condonato senza i suoi frizzi, che non è mai austero, nè pur verso di se medesimo, e si vale d’espressioni comiche, parlando della sua filosofia sensuale, delle sue relazioni cogli altri, e di tutte le sue abitudini. Non v’ha nulla di più arguto di ciò ch’egli dice nei suoi monologhi sul punto d’onore, sulla gagliardìa che infonde il vino, sugli sciagurati ch’egli arrolò per l’esercito, sul giudice di pace Shallow, ecc. Falstaff ha intorno a sè un’intera corte di piacevoli figure, che risaltano l’una dopo l’altra senza eclissarlo. L’avventura del principe travestito da ladro che gli ruba ciò ch’egli stesso avea rubato, e che sostiene con esso lui la parte ora di re, ora del principe medesimo (diciamo del principe di Galles); il procedere di Falstaff alla guerra, la sua leva di reclute, la protezione che offre al giudice di pace, e che alla fine riesce a lui medesimo così funesta; tutto ciò costituisce una serie di scene caratteristiche d’un genere originalissimo, e che non si possono introdurre che colla forma del dramma storico».

(Schlegel, Corso di Lett. Dramm.)

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